Il convegno guerrafondaio internazionale dell’Aspen Institute al Castello Visconteo di Pavia di sabato 19 ottobre 2024 ha giustamente attirato l’attenzione della sinistra di classe e di movimento nella nostra città. Si intitola «La battaglia di Pavia e il futuro della difesa europea (1525 – 2025)».
Un convegno guerrafondaio
Il Collettivo Thawra, la Rete Antifascista e altri hanno preso posizione contro questo evento. Il Circolo Ghinaglia di Pavia di Sinistra Classe Rivoluzione condivide l’indignazione e appoggia completamente queste proteste, a cui abbiamo partecipato coi nostri militanti.
Il Collettivo Thawra, che è la prosecuzione del movimento per la Palestina che ha occupato per più di un mese due cortili dell’università e il rettorato, ha anche organizzato una contestazione in consiglio comunale: è stato esposto uno striscione che accusava il sindaco Lissia (PD) di codardia per aver mantenuto l’appoggio del Comune di Pavia a questo convegno, a cui era previsto che andasse a portare saluti ufficiali. L’accusa è fondata, viste le vuote promesse ai pro-Palestina fatte subito dopo la sua elezione: Lissia si era impegnato a esporre bandiere per la pace da palazzo Mezzabarba e a far votare una mozione contro l’attacco di Israele a Gaza «alla prima riunione del consiglio comunale», due gesti puramente simbolici ma che non sono comunque mai stati fatti. Nel giorno del convegno, si è tenuto un presidio di protesta di fronte al Castello. Andiamo a capire meglio che cosa rappresenta questo convegno.
L’evento del 2024 è la terza edizione del convegno; le prime si sono tenute nel 2022 e nel 2023. Ogni “puntata” metteva a tema una dimensione della guerra moderna: la guerra via terra (2022), la guerra aerea (2023) e quest’anno la guerra via mare. Il pretesto è il cinquecentenario della Battaglia di Pavia, che sarà nel 2025, ma il legame tra questo convegno e la battaglia del 1525 è molto pretestuoso; non è un convegno storico, bensì un convegno dove si discute della guerra del futuro. Il vero motivo per cui si svolge a Pavia è il ruolo dell’ex ministro Giulio Tremonti, il politico-accademico-milionario pavese che dirige la sezione italiana dell’Aspen Institute.
Ma che cos’è l’Aspen Institute?
È una consorteria fondata negli Stati Uniti negli anni Cinquanta dal capitalista Walter Paepcke, che come altre organizzazioni para-massoniche si occupa di mettere in contatto industriali, intellettuali e politici per portare avanti le strategie del capitalismo su scala internazionale. Non esiste un piccolo nucleo di cospiratori che in segreto decide come va il mondo, come pensano i complottisti: esiste una miriade di reti di relazioni e associazioni nelle quali, spesso alla luce del sole, la classe dominante discute del futuro, allinea i propri interessi (finché ci riesce), negozia i prossimi passi da compiere. Sono la mente collettiva della borghesia. L’Aspen Institute con i suoi convegni è uno degli innumerevoli centri di potere e ideologici in cui questo processo si sviluppa, per quanto riguarda il blocco imperialista occidentale a guida USA.
In Italia, l’Aspen Institute ha come presidente Giulio Tremonti, che politicamente afferisce al centrodestra, ma come presidenti onorari l’ex capo del governo Giuliano Amato (centrosinistra), l’ex presidente del Senato Carlo Scognamiglio (trasformista: centrodestra, poi terzo polo, poi centrosinistra) e Giuseppe De Rita (CENSIS, CNEL, Corriere della Sera). Sono “quei poteri che hanno sempre il potere”, a prescindere dal teatrino elettorale. I vicepresidenti sono il capitalista Bombassei, anche politico e confindustriale, il capitalista Rocca, anche lui alto papavero di Confindustria, il capitalista Stanca, anche lui ex ministro, la capitalista Zambon. Abbiamo capito lo schema.
I primi della lista
La lista dei protagonisti del convegno del 2024 sarebbe sufficiente a farci indignare. L’iniziativa è lanciata dall’Aspen Institute Italia, dalla onnipresente Fondazione Banco del Monte di Lombardia e da Leonardo. Leonardo SpA, ex Finmeccanica, com’è noto è la principale azienda italiana nel settore militare, la seconda più grande d’Europa dopo la BAE Systems. Ha interessi ramificati in moltissimi settori e rappresenta il centro del complesso militar-industriale italiano. Il peso militare e geopolitico dell’imperialismo italiano è spesso sminuito in Italia, una forma molto subdola di minimizzazione dei suoi crimini e della sua pericolosità per le masse di tutto il mondo; sebbene sia vero che l’Italia è un Paese imperialista gregario e pasticcione, con forze armate che hanno una specifica tradizione di vigliaccheria e incompetenza, non concordiamo con la sottovalutazione di quello che resta in ogni caso uno dei grandi Paesi imperialisti del G7 e della NATO.
Ma non finisce qui. La conferenza si è svolta «in collaborazione» con diverse altre entità. Abbiamo un’altra banca, Intesa Sanpaolo, a ricordarci che il capitale finanziario è quello che tira i fili del commercio di armi e delle missioni militari. Abbiamo la Marina Militare, che in questi mesi di genocidio dei palestinesi di Gaza è impegnata indirettamente al fianco di Israele con le operazioni navali della missione Aspides nel Mar Rosso. Abbiamo l’Università degli Studi di Pavia, che prima dell’estate aveva cercato di silenziare voci critiche su Israele e aveva detto di no alle richieste del movimento per la Palestina di troncare i rapporti con Israele e con la ricerca militare. Abbiamo infine il Comune di Pavia, che nei giorni pari ciarla di Pavia città per la pace ma nei giorni dispari patrocina la guerra e manda il sindaco a portare i saluti d’apertura ai mercanti d’armi e agli ammiragli imperialisti. Da notare, a questo proposito, il silenzio tombale di AVS, del M5S e di Pavia a Colori, che si presentano come l’ala pacifista del centrosinistra; dal PD non ci si poteva aspettare nulla dopo il ruolo nefasto giocato dalla sua segretaria cittadina e senatrice accademica Mayra Paolillo durante l’occupazione del rettorato.
Gli oratori sono un’altra lista da brivido. Tra sbirri e generali assortiti, segnaliamo Mircea Dan Geoană, ex vicesegretario NATO, i ministri Urso e Crosetto, ma soprattutto Giuseppe Zafarana, il presidente dell’ENI. La più grande multinazionale italiana, che teoricamente non si occupa di guerra (sono specializzati nella devastazione del pianeta tramite lo sfruttamento delle risorse energetiche fossili), nella pratica è molto interessata alla questione. Lenin diceva che l’imperialismo è la politica estera del grande capitale finanziario e monopolistico: esportazione di capitale, accaparramento di materie prime e forzalavoro, gestione dei flussi commerciali, di cui la violenza militare e gli intrighi diplomatici sono solo un epifenomeno.
Missili dal Titanic che affonda
Il tema principale di questo convegno è la marina militare, l’importanza delle dottrine di superiorità navale nel passato e ai giorni nostri. L’attinenza con la Battaglia di Pavia è naturalmente nulla, ma questo non importa. Ci penseranno le anime belle del centrosinistra locale a fare poi le celebrazioni edulcorate, “culturali” e “pacifiste”, della Battaglia di Pavia, mentre la ciccia sta tutta qui, dove la parola «pace» è bandita e si parla di «supremazia della flotta», «proiezione internazionale», «negazione del mare agli avversari» e altri bei concetti di questo tipo.
L’argomentazione centrale è che l’Europa deve riarmarsi, pur mantenendo il suo rapporto privilegiato col potentissimo imperialismo statunitense tramite la NATO. Questo riarmo, che del resto sta già avvenendo, le sarebbe necessario per non “restare indietro” negli scenari del prossimo futuro, con la conflittualità sempre più forte tra il blocco occidentale e le potenze emergenti dei BRICS, in particolare la Russia, che è un avversario regionale diretto, e la Cina, che è il nemico di lunga durata in prospettiva. L’Italia da questo punto di vista è rappresentata come il Paese più interessato a questo riarmo perché ha meno da “mettere in campo” in autonomia rispetto alla Francia, ma fa più pressioni per una proiezione militare semi-autonoma dell’UE rispetto per esempio alla Germania che tradizionalmente si affida alla NATO e basta. Ora le cose stanno cambiando e diventa più condivisa la posizione italiana sulla Difesa europea (che non è una difesa quanto un attacco, ma è una difesa nel senso di difendere i propri antichi privilegi coloniali ormai sempre più perduti).
Fantascienza distopica
Tuttavia, un altro tema del convegno è anche più insolito e inquietante: «le nuove minacce militari» come recita il documento preparatorio, che in effetti però non parla tanto di come scongiurare queste minacce, quanto di come farle. Si elencano cinque tipologie di innovazioni nell’arte di uccidere e distruggere:
- i droni;
- le armi ipersoniche;
- le armi ad energia diretta;
- le operazioni cyber e spaziali;
- l’uso dell’Intelligenza Artificiale.
I droni sono visti con una certa preoccupazione perché ormai permettono, in guerre asimmetriche, anche alla parte più debole di contrattaccare, come si è visto in Medio Oriente. Per i missili ipersonici, dice il testo, «la migliore difesa è rappresentata da altri missili ipersonici», che ci sembra un buon riassunto della filosofia di questi raffinati studi militari. Le armi ad energia diretta sono armi laser, armi soniche, armi al plasma, armi a microonde ecc., tutte a livello ancora sperimentale.
Sugli attacchi informatici, si afferma che «la cyber defence è invece un ambito in cui le
competenze ed attribuzioni si sovrappongono e solo una fattiva collaborazione tra civile e
militare può portare alla piena efficacia delle linee di difesa cibernetica». Rendiamoci conto di cosa implica questa dottrina dal punto di vista del ruolo politico-militare che si va ad attribuire al settore tecnologico. Le operazioni nello spazio, che più che relative ad astronavi dobbiamo immaginare riguardare i sistemi di comunicazione satellitare, rischiano di aprire un nuovo terreno di conflitto. Con un po’ di fastidio, il testo afferma che «Il dominio spaziale, seppure all’inizio di una fase di possibile “disputa”, è ancora oggetto di chiare dichiarazioni che intendono caratterizzarlo come un dominio cooperativo, il cui accesso libero deve essere garantito e preservato anche per le future generazioni»; si noti la scelta delle parole: «ancora» c’è qualcuno che crede a queste utopie. E si commenta: «ma per ottenere questo risultato è necessario costruire appropriate capacità di controllo e deterrenza»; insomma, anche lì si prevede di muoversi verso la frammentazione, la disgregazione e la legge del più forte, presentandolo come un esito obbligato quando di fatto si contribuisce a determinarlo.
I punti più preoccupanti, però, riguardano l’intelligenza artificiale. Si introduce il discorso sugli AWS (Autonomous Weapon System), che con maggiore efficacia sono talvolta chiamati «robot assassini», come per esempio li chiama la campagna Stop Killer Robots. Sono armi letali gestite dall’intelligenza artificiale, senza controllo umano e quindi ulteriormente deresponsabilizzanti. Il testo preparatorio accenna a blandi riferimenti a «chiare regole d’ingaggio» e a una «decisione umana finale», ma contiene già la normalizzazione dei robot assassini come strumento di guerra accettabile. Non è possibile illudersi sugli effetti di una ipotetica autoregolamentazione, che sarebbe in ogni caso secretata e avrebbe lo stesso scopo delle azioni propagandistiche dell’esercito israeliano per affermare la propria “eticità”.
Giù la maschera
A queste “sfide”, dice la presentazione ufficiale del convegno,
sarà essenziale che ogni attore contribuisca: le forze armate per la dottrina e i requisiti operativi, i governi per il finanziamento degli investimenti e per l’elaborazione di strumenti di governance adeguati, e ovviamente l’industria e l’intera catena del valore con tecnologie e capacità.
Ecco l’essenza della questione: raccordare esercito, politica e industria. I nostri nemici fanno comunella per organizzare l’esercizio della violenza.
In un’intervista recente, Tremonti dice: «È più probabile che ci conquistino i mongoli, che non i russi». Lorsignori sanno benissimo che quando parlano di “sicurezza” intendono tutt’altro di quello che viene raccontato alle masse: non ci si riarma per impedire ai cosacchi di conquistare Siziano, ma per ritagliarsi una fetta di torta nella spartizione imperialista delle risorse naturali, dei mercati d’investimento, delle occasioni di sfruttamento della forzalavoro. Gli investimenti nella loro “sicurezza”, anzi, solitamente diminuiscono la sicurezza come intesa da noi comuni mortali, cioè la probabilità di non finire ammazzati da qualche bomba, convenzionale o nucleare, o sul fronte, o più prosaicamente in un ospedale sottofinanziato perché la spesa pubblica è stata dirottata a fare portaerei e missili.
No al riarmo, no all’imperialismo
L’Internazionale Comunista Rivoluzionaria, di cui facciamo parte, ha lanciato una campagna mondiale contro il riarmo e l’imperialismo. La crescita mostruosa delle spese militari, l’allargamento progressivo dei conflitti, la distruzione delle città palestinesi, ucraine, libanesi, la militarizzazione crescente della ricerca, delle scuole e dell’università, della cultura, delle nostre stesse vite, sconvolge miliardi di persone nel mondo. I proletari si chiedono perché non ci sono soldi per tenere aperti gli ospedali e le scuole, per dare una casa e un welfare decente a tutti, per completare una transizione ecologica giusta, ma si trovano per eserciti e flotte smisurate e per sofisticati sistemi di distruzione della vita umana e delle infrastrutture.
Noi abbiamo una risposta e una soluzione. La risposta è nei meccanismi di funzionamento del capitalismo nella sua fase terminale. La soluzione è nella liberazione da questo sistema marcio tramite la rivoluzione socialista internazionale, che porti alla formazione di una Federazione Socialista Mondiale. Ma per fare questo serve lottare, e serve un partito dei comunisti rivoluzionari. Unisciti a noi per fermare questo orrore!