È di pochi giorni fa la sentenza del TAR della Lombardia che dà ragione al Coordinamento per il Diritto allo Studio (UdU Pavia) nella causa contro l’Università degli Studi di Pavia. Il ricorso presentato dall’associazione degli studenti contestava alla governance dell’ateneo il superamento della soglia del 20%, fissata per legge, del rapporto fra tassazione e Fondo di Finanziamento Ordinario. In parole semplici, per legge, l’università non può ottenere finanziamenti dalle tasse versate dagli studenti per una cifra superiore al 20% di quanto ottiene del Ministero della Ricerca. L’ateneo è stato riconosciuto colpevole di aver forzato la mano con un’interpretazione a sé troppo favorevole di una normativa volutamente ambigua.
Svelta è arrivata a tutta la comunità accademica una lettera del magnifico rettore Francesco Svelto in cui sostanzialmente si accusano gli studenti di miopia e scarsa lungimiranza e di voler mordere la mano feconda che li nutre. In linea quindi con ogni discorso fatto ai giovani da parte di qualsiasi autorità in questo paese.
Il Magnifico si produce poi nella consueta lamentatio sull’endemica e cronica mancanza di fondi per il sistema universitario italiano, qui declinata nella forma retorica dell’“io l’avevo già detto prima di voi”. Come se aver ripetuto per l’ennesima volta parole rituali possa essere una giustificazione al fatto di aver imposto una tassazione riconosciuta illegittima dal TAR.
Di per sé il ricorso al TAR non risolve la soluzione ma ha permesso di mettere in luce l’ipocrisia di un sistema che sta cambiando la natura delle università italiane. A partire dalla famigerata legge 240/2010, più nota come Legge Gelmini, il sistema universitario statale ha subito un progressivo sgretolamento sia per il sistematico sottofinanziamento sia per la spinta autonomistica che ha messo in contrapposizione gli atenei gli uni contro gli altri.
Non è possibile contestare il sottofinanziamento, come fa il rettore, senza contestare il progetto di parcellizzazione del sistema accademico dietro il pretesto delle eccellenze e della meritocrazia. Sono due facce della stessa medaglia, tanto che gli atenei si stanno attrezzando per sfruttare questa autonomia al solo scopo di contendersi iscritti per rimpolpare le casse. Ecco quindi spuntare master e corsi di specializzazione sempre più articolati e costosi ma dal discutibile valore formativo. E lo stesso avviene per l’apertura agli studenti internazionali che non ha lo scopo di far uscire il sistema italiano della forma e della ricerca dal suo provincialismo ma semplicemente quello di aprirsi ad un mercato globale per reclutare più clienti… pardon, studenti. Da una parte i rettori piangono miseria e gridano all’ingiustizia del sistema come piccoli Calimero ma dall’altra non esitano a rivalersi sugli studenti cercando di accaparrarsi i più ricchi per mantenere in piedi il sistema.
Il rettore passa poi all’attacco dicendo che, in un momento così difficile storicamente, il ricorso al TAR darà il colpo di grazia all’università. E per dimostrare lo stato di rovina dell’ateneo la spara grossissima! Pensate, con quei soldi avremmo potuto assumere 100 ricercatori e per colpa vostra, bambini capricciosi, non potremo farlo!
A parte la squallida mossa di contrapporre studenti e precari della ricerca, quello che il rettore dice è una grossa falsità. Anche volendo investire quei soldi in ricerca, 5 milioni di euro sarebbero bastati per poco più di una trentina di contratti. Perché se è vero che i contratti costano 50.000 euro l’anno, la legge impone che la durata di tali contratti sia fissata a 3 anni, con in costo reale quindi di 150.000 euro a contratto. Quindi millantare cifre roboanti serve solo a distrarre dal merito della questione.
Infine sorprende che il risultato della sentenza colga la governance alla sprovvista. Come hanno fatto altri atenei per cifre molto più consistenti, c’è stato tutto il tempo per prepararsi ad un possibile esborso improvviso per pagare i rimborsi sacrosanti. L’eventuale riduzione delle assunzioni di giovani (con contratti precari), o di taglio del salario accessorio del Personale Tecnico, Amministrativo e Bibliotecario, o della riduzione dei servizi agli studenti come conseguenza di questa sentenza saranno solo da imputare alla cattiva gestione dell’ateneo e alla scarsa lungimiranza che il Magnifico imputa agli stessi studenti in lotta.
Ben venga quindi il risultato ottenuto con questa sentenza, sperando che apra una stagione di lotte ancora più accesa. Già lo spauracchio della crisi viene agitato per far presagire una stagione di nuova austerità e nuovi sacrifici.
Ma noi sappiamo che problemi dell’Università italiana stanno nelle scelte politiche che hanno tagliato i finanziamenti e messo gli atenei gli uni contro gli altri. Nella gestione delle risorse e del reclutamento che non esitiamo a definire feudale che ha ritardato lo sviluppo di servizi e ricerche. Nella visione della componente studentesca come semplici clienti da spremere.
Il problema della scarsità di risorse non si risolve con la questua rettorale o con gli escamotage sulle percentuali delle tasse. Si possono risolvere solo con una mobilitazione compatta dei studenti e studentesse, lavoratrici e lavoratori su una base chiara di rivendicazioni.
- Fine dell’autonomia accademica intesa come competizione tra gli atenei a discapito della qualità
- Riforma del pre-ruolo per la docenza per liberare il reclutamento dalle logiche baronali
- Riconoscimento delle diverse professionalità del Personale Tecnico, Amministrativo e Bibliotecario e per gli Esperti Linguistici
- Piani ordinari e a lungo termine di assunzioni sia per il Personale Docente sia per il personale TAB e CEL
- Cospicui investimenti per il diritto allo studio
- Abolizione del numero chiuso in tutte le facoltà
- Istruzione pubblica totalmente gratuita ad ogni livello
- Controllo di studenti e lavoratori sulle scelte accademiche