Protesta dei facchini Carrefour di Chignolo Po

Carrefour: sfruttamento e lotta nel magazzino di Chignolo Po

Nell’agosto 2020 è scoppiata una lotta operaia molto significativa nel magazzino Carrefour di Chignolo Po (PV). Questo magazzino rifornisce esclusivamente i supermercati della multinazionale francese. Per capire l’importanza della Carrefour nella grande distribuzione si consideri che il gruppo conta quasi mezzo milione di dipendenti su scala mondiale, di cui 18mila in Italia; può risultare grottesco rendersi conto che un’azienda di queste dimensioni ricorra per i servizi logistici ai servigi di piccolissime “cooperative” dal funzionamento opaco e in cui le condizioni di lavoro, salariali e di sicurezza sono in genere abominevoli.

Padrona e presidente

In questo caso, la Carrefour si rivolge al consorzio CISA, con cui ha firmato un contratto di fornitura, e il consorzio a sua volta distribuisce le commesse tra varie “cooperative”. La “cooperativa” in cui è scoppiata la protesta dei facchini di Chignolo è la Zero70, iscritta all’Albo nel luglio 2019, di cui è presidente una certa Beatrice Oppi. La Zero70 è subentrata alla ditta che in precedenza si occupava di quel magazzino; per molti lavoratori si è trattato soltanto di un cambio di azienda, il lavoro è proseguito come prima ma sotto un marchio diverso: alla fine si lavora sempre per la Carrefour, spostando merci non alimentari (quello di Chignolo è l’unico magazzino Carrefour no food). Le condizioni però erano destinate a peggiorare rapidamente.

Beatrice Oppi non ha iniziato la sua carriera come presidente di cooperative di facchini, bensì come erede della famiglia di capitalisti Oppi di Piadena (CR) e quindi, per diritto di nascita, padrona della Oppi Industria Alimentare srl. Purtroppo questa azienda nel 2018 ha avviato una procedura di liquidazione in quanto piena di debiti che non riusciva a pagare; i lavoratori dell’azienda si erano scontrati con la proprietà ed erano stati licenziati in blocco. E pensare che ancora pochi anni prima Beatrice Oppi si vantava della grande espansione degli affari familiari «alla conquista della Costa Azzurra»! Sic transit gloria mundi: mentre era ancora impegnata in udienze in tribunale per il disastro economico della sua precedente esperienza imprenditoriale, che ha rappresentato un dramma per decine di famiglie di lavoratori, Beatrice Oppi si è trovata dunque eletta presidente di una cooperativa composta quasi esclusivamente da lavoratori stranieri, in particolare originari da diversi Paesi arabi. Purtroppo anche in questa occasione sono sorti problemi di debiti, e anche in questa occasione a farne le spese sono stati i lavoratori… Che sfortuna!

Beatrice Oppi, quarta da sinistra, presso la sede cremonese di Confindustria nel 2014, appena eletta in un comitato di rappresentanti dei piccoli industriali locali.

Nel giro di pochi mesi dalla creazione della “cooperativa”, infatti, questa si è ritrovata con 400mila euro di debiti. Come sono stati fatti tutti questi debiti? Non è chiaro. L’Unione Sindacale di Base (USB), il sindacato che sta guidando la protesta, fa osservare che nei mesi dell’indebitamento non risultano emesse fatture e ha già contattato la Guardia di Finanza. Intervistata dalla Provincia Pavese, è la stessa presidente Oppi a spiegare la situazione con dichiarazioni piuttosto sconcertanti.

Oppi ha affermato di aver tagliato gli stipendi rispetto a quanto avveniva in precedenza, quando «oltre alla paga base c’era un bonifico aggiuntivo separato, frutto di trattative personali», e che quindi i facchini «si sono trovati a percepire meno». Questa dichiarazione è volta a presentare la nuova cooperativa come fautrice del ripristino della legalità, ma tradisce in realtà la sostanza della questione: tagliare gli stipendi. Ma non è finita qui.

Il taglio dei “bonifici aggiuntivi”, secondo Oppi, avrebbe determinato malcontento tra i lavoratori (ma che strano! dovevano ringraziare?), e questo avrebbe peggiorato la produttività. Da ciò sarebbero derivate due conseguenze:

  1. Il tentativo di aumentare lo sfruttamento con modifiche all’organizzazione dei tempi di lavoro. Secondo il presidente del consorzio CISA, gli operai «hanno una gestione anarchica degli orari di lavoro»; sembrerebbe semmai che siano invece i manager a voler imporre una gestione autoritaria delle tempistiche, visto che gli operai lamentano che i cambi di orario vengono comunicati la sera prima via messaggino WhatsApp.
  2. Un ulteriore taglio dello stipendio, questa volta della paga base, per appianare il misterioso debito accumulato dalla cooperativa.

La resistenza di molti lavoratori a questo peggioramento delle proprie condizioni di vita viene commentata così dalla presidente Oppi: «Non erano consapevoli del loro ruolo di soci». Con un candore imbarazzante, il vertice della cooperativa afferma che i soci sono all’oscuro di essere soci. Oppi non avrà voluto certo dire che la Zero70 sia una finta cooperativa, ma è proprio quello che si potrebbe dire se si trattasse di una finta cooperativa. In effetti, è quello che dicono i lavoratori stessi su uno striscione: «Via le “coop” finte da Carrefour!».

La situazione precipita

Una mattina di metà luglio, il presidente del consorzio CISA, Silvio Vincenzo La Falce in persona, si è presentato al magazzino inveendo contro i lavoratori, che a suo dire stavano lavorando troppo lentamente, pretendendo addirittura di riprendere con un telefono i lavoratori. Il diverbio si è aggravato e, stando a quel che dicono i lavoratori, La Falce avrebbe addirittura sferrato un pugno a un facchino, che in effetti ha riportato 10 giorni di prognosi per contusioni e abrasioni.

I licenziamenti collettivi sono sospesi per l’emergenza COVID-19, ma è ancora permesso procedere a licenziamenti individuali per motivi disciplinari. Questo è quanto ha fatto la cooperativa, dopo aver lanciato una pioggia di contestazioni, procedendo al licenziamento di ben 4 lavoratori.

A inizio estate, tuttavia, un gruppo di lavoratori del magazzino di Chignolo Po aveva iniziato ad organizzarsi attraverso l’USB Logistica. Il funzionario di riferimento è Alaa Nasser, un compagno di origini egiziane molto noto a Pavia. In risposta ai licenziamenti, l’USB ha dunque proclamato uno sciopero bianco, una forma di lotta in cui si lavora rispettando pedissequamente le normative con l’effetto di ridurre l’intensità del lavoro, e lo stato di agitazione a oltranza.

Per capire meglio queste dinamiche abbiamo chiesto un commento all’avv. Silvia Garzena, che si occupa di diritto del lavoro e che è anche portavoce della Rete Antifascista di Pavia:

Come possono succedere fatti simili? In un sistema normativo in cui formalmente vige il divieto di intermediazione ed interposizione fittizia di manodopera, la frammentazione dei rapporti di lavoro (tra appalti, subappalti, cambi appalti, somministrazioni…) ha dato la stura a modelli organizzativi e contrattuali che consentono all’imprenditore di organizzare e disporre delle risorse lavorative, just in time, senza assumere il rischio e la responsabilità dell’imprenditore. Ciò ha fatto fiorire le “cooperative spurie”, società formalmente mutualistiche che si usano per scaricare costi, debiti, applicare CCNL al ribasso, con inquadramenti che non corrispondono al lavoro svolto, condizioni di insicurezza sul lavoro, paghe ed orari peggiori. Con l’eliminazione, negli ultimi due decenni, dell’obbligo di parità di trattamento retributivo tra lavoratori operanti in appalto presso le cooperative e quelli direttamente dipendenti dalla committente,sempre più spesso lavoratori operano fianco a fianco, sottoposti allo stesso rischio, ma con condizioni retributive e normative molto differenti, venendo posti in situazione di concorrenza tra di loro.

Al cambio di appalto, queste cooperative riassumono sempre gli stessi lavoratori licenziati – previo accordo tombale di rinuncia ai propri crediti – che risultano sempre, ai fini delle tutele scarse del Jobs Act, come nuovi assunti. In questo schema i lavoratori non hanno quasi mai le facoltà effettive dei soci di cooperativa (cogestione dell’impresa, partecipazione all’elezione degli organismi dirigenti ed approvazione dei bilanci, equa ripartizione dell’occasioni di lavoro, divisione degli utili e reinvestimenti), ma solo lo svantaggio di essere meno tutelati.

E questa parcellizzazione dei rapporti, disgregando l’unità dei lavoratori, ha posto la sua leva più insidiosa sull’ulteriore elemento di discriminazione, puntando ad approfittare della debolezza contrattuale dei lavoratori stranieri (anche in questo caso specifico, una rilevante fetta dei dipendenti). Inutile sperare in controlli dell’Ispettorato – già carente di risorse – anche per stanare le molte realtà in cui la dipendenza dalle cooperative è solo un escamotage, per l’effettivo datore, per applicare CCNL pessimi e poi buttare fuori più facilmente i lavoratori indesiderati.

Una lotta da sostenere

Le rivendicazioni dei circa 50 lavoratori in lotta (su 59 presenti nel sito) sono riassunte dal sindacalista Alaa Nasser che ci ha mandato questo riassunto video:

Alaa Nasser, 15 agosto 2020, Chignolo Po.

La tattica seguita dall’USB è consistita nell’ottenere una grande visibilità che potesse imbarazzare la Carrefour e mettere all’angolo il sistema delle “cooperative” e del consorzio che preferiscono non si parli troppo di quanto avviene nel settore della logistica. Al tempo stesso, lo sciopero bianco ha creato un danno economico significativo alla controparte che ha allarmato la stessa Carrefour, che ad agosto ha iniziato a temere per le sue consegne.

I lavoratori sono andati in diversi supermercati e centri commerciali Carrefour, armati di striscione, bandiere e megafono, spiegando la loro situazione, anche andando a fare la spesa, riempiendo i carrelli e poi fermandosi alle casse improvvisando delle piccole manifestazioni (“carrello selvaggio”). Questo è avvenuto per esempio al Carrefour di Pavia e ad Assago. Raccogliere il consenso e la solidarietà di altri lavoratori che sono semplicemente clienti Carrefour ci sembra una buona idea, aiuta a fare luce su uno dei molti lati oscuri della grande distribuzione.

L’11 agosto la lotta ha avuto un punto di svolta con la salita dei lavoratori licenziati sugli scaffali del magazzino, a 10 metri di altezza. I quattro lavoratori che il consorzio vuole cacciare hanno deciso con questo gesto eclatante, nel quale hanno messo a rischio la loro stessa sicurezza fisica, di esprimere la loro rabbia e di imporre l’ascolto delle loro ragioni. Sono passati già diversi giorni in cui questi proletari sono rimasti arrampicati sugli scaffali, vivendo lì al caldo di agosto giorno e notte, con tutte le difficoltà fisiche e morali che si possono immaginare, ma la controparte non cede: sebbene la lotta l’abbia costretta ad avanzare proposte di compromesso, cooperativa e consorzio insistono nel non voler ritirare i licenziamenti.

Due lavoratori arrampicati sugli scaffali.

Sono iniziate le contromisure da parte dei nemici di questa lotta. La polizia è entrata nel magazzino, ma la minaccia di un intervento repressivo è stata scongiurata, per ora, dalla compattezza dimostrata dalla grande maggioranza dei lavoratori, sebbene come sempre ci sia una minoranza che non capisce le ragioni della lotta, o più semplicemente che è disposta a subire pur di non rischiare altri guai. Intanto, si sono moltiplicate le iniziative di solidarietà ed è stato formato un presidio permanente fuori dai cancelli, in cui si recano le famiglie dei lavoratori per giornate intere e anche compagne e compagni di organizzazioni politiche di sinistra. Anche noi di Sinistra Classe Rivoluzione abbiamo portato la nostra solidarietà militante recandoci fisicamente sul posto. Duole registrare invece la mancanza di sostegno da parte di organizzazioni sindacali diverse da quella che gestisce la vertenza, con l’eccezione del SOL Cobas. La CGIL dovrebbe far valere il proprio peso in questa vicenda! Non ci stupisce invece la totale assenza e il silenzio tombale dei partiti politici parlamentari.

In mancanza di una seria spaccatura tra lavoratori favorevoli e contrari alla lotta, la “cooperativa”… se l’è inventata. Infatti, pochi giorni dopo la salita sugli scaffali, gli amministratori della Zero70 hanno annunciato l’entrata nella “cooperativa” di ben 40 soci-lavoratori, tutti disposti a lavorare senza fiatare e iscritti alla UIL Trasporti… di Bergamo. La sede legale della Zero70 è in provincia di Bergamo, ma perché dei facchini bergamaschi, tutti misteriosamente affascinati dallo stile sindacale della UILT, dovrebbero venire a lavorare tra Pavia e Piacenza, nel bel mezzo di una grave agitazione sindacale? Si tratta chiaramente di crumiri manipolati dai dirigenti della “cooperativa”, con la UILT di Bergamo che si è prestata al gioco svolgendo il ruolo di vero e proprio “sindacato giallo”. La manovra del crumiraggio è stata così maldestra e spudorata da fallire subito: la stessa UIL di Pavia, per bocca del suo segretario Carlo Barbieri, ha sconfessato la mossa della UILT di Bergamo, sostenendo giustamente che semmai è la UIL pavese che deve essere coinvolta nella trattativa.

Il presidio permanente al magazzino di Chignolo Po, con la presenza dei bambini dei lavoratori in lotta.

Crediamo sia importante resistere un minuto più del padrone, e cioè in questo caso un minuto più di Carrefour-CISA-Zero70. Non sarà facile strappare un risultato che garantisca i posti di lavoro dei 4 licenziati, ma la verità è che tutto il sistema di appalti e subappalti andrebbe ribaltato da cima a fondo, chiamando la Carrefour alle sue responsabilità. Chi lavora in un magazzino Carrefour deve semplicemente essere un dipendente Carrefour assunto a tempo indeterminato!

  • No al crumiraggio e ai tentativi di rompere la lotta con la forza: smilitarizzare subito il magazzino tenendo polizia, crumiri e sindacati gialli fuori dai cancelli.
  • Riassumere subito i 4 licenziati e ritirare i provvedimenti disciplinari con una cancellazione generale delle accuse verso i lavoratori, che permetta di ripartire da zero.
  • Chiarezza sul bilancio 2019 e sull’origine del debito di Zero70, che in ogni caso non può essere scaricato su lavoratori che neppure erano consapevoli di essere soci (parola della presidente Oppi!).
  • I lavoratori non sono carne da macello: rispetto rigoroso delle norme di sicurezza, del CCNL e delle misure anti-COVID.
  • Internalizzare la logistica: basta finte cooperative monocommittente, basta consorzi di comodo, chi lavora per Carrefour sia assunto da Carrefour!

1 commento

  1. Molto centrato! Le finte cooperative di lavoratori sono un’indecenza .

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