Giuseppe Traversi, "La rissa al gioco"

Faida leghista a Vigevano: la democrazia dei soldi

Ceffa agli arresti domiciliari e Ciocca perquisito e indagato: sono questi gli sviluppi più eclatanti dell’indagine sulla crisi di giunta del 2022 a Vigevano. Cerchiamo di capire cosa è successo in questa vicenda nauseante di corruzione leghista.

Andrea Ceffa è il sindaco di Vigevano, appartenente alla corrente della Lega fedele a Salvini, guidata dall’assessora regionale Elena Lucchini. In provincia di Pavia è in corso da anni una faida tra questa corrente e la corrente dell’ex europarlamentare Angelo Ciocca di San Genesio, una figura nefasta di cui abbiamo già avuto modo di parlare. La faida ha anche i tratti ridicoli delle dinastie familiari: la corrente di Ciocca aveva piazzato come sindaco di Pavia il cugino di Ciocca, Fabrizio Fracassi, rimosso nel 2024; la corrente maggioritaria ha messo come presidente della Provincia di Pavia il compagno di Lucchini, Giovanni Palli. In questo scontro tra bande il centrosinistra ha spesso interpretato il ruolo della comparsa, appoggiando una parte contro l’altra.

Il 30 novembre 2022, 12 consiglieri comunali di Vigevano, alcuni di destra e alcuni di centrosinistra, hanno rassegnato le proprie dimissioni. Con una tredicesima dimissione, il sindaco sarebbe decaduto; ma il tredicesimo consigliere dimissionario, di Fratelli d’Italia, ha cambiato idea la notte prima della protocollazione delle dimissioni, interrompendo la “congiura di Sant’Andrea”. Attorno a questa vicenda intricata si è consumato un dramma cittadino che fatichiamo a chiamare politico; sui dettagli di procedura sono partiti un ricorso e un’indagine giudiziaria. Fatto sta che secondo gli inquirenti dietro la congiura anti-Ceffa c’erano due uomini di potere: Angelo Ciocca, appunto, e un capitalista di Vigevano, Alberto Righini, pezzo grosso dell’ANCE (associazione costruttori edili). I congiurati sono accusati di aver cercato di comprarsi un consigliere con un’offerta di 15mila euro.

La congiura del 2022 è fallita per il misterioso, tempestivo ripensamento del consigliere di FdI, lasciando Ceffa con una maggioranza traballante. Secondo la Procura, per consolidare questa maggioranza Ceffa avrebbe fatto avere un incarico fittizio (una consulenza legale definita «inutile») alla consigliera di destra Roberta Giacometti. L’incarico sarebbe ottenuto tramite un prestanome con la complicità di vari dirigenti dell’ASM Vigevano e Lomellina. Tutte queste persone della banda pro-Ceffa sono finite agli arresti domiciliari per questo imbroglio, fatto ovviamente non di tasca loro ma con soldi dell’ASM, cioè della SpA che gestisce malamente i servizi pubblici in Lomellina come acqua e gas, figlia balorda delle solite privatizzazioni.

Salvini ha difeso il suo referente a Vigevano, dicendo che si tratta sicuramente di un errore perché conosce Ceffa come persona onesta, avendo collaborato con lui per il progetto dell’Autostrada Broni-Mortara. Questo progetto, una grande opera poco utile e ambientalmente devastante contro cui si sono sempre schierate le associazioni ambientaliste, sembra stare molto a cuore anche all’arrestato costruttore Righini, che ne ha parlato ossessivamente nei suoi dodici anni di presidenza di ANCE Pavia, insieme alle principali associazioni padronali.

Fin qui i fatti. Da comunisti rivoluzionari non possiamo però non trarre un giudizio da questo ennesimo scandalo giudiziario che travolge la nostra provincia, ancora una volta con il “marchio della Bestia” Lega. A Voghera assessore razzista leghista che spara e uccide uno straniero; a San Genesio una scuola sotto sequestro; a Pavia carabinieri e ispettori del lavoro corrotti che fanno favori a politici e padroni, e che usano il loro potere per fare stalking a una donna; e intanto, il processo alla fabbrica assassina Fibronit di Broni che si chiude senza nessuna condanna per le centinaia di morti per l’amianto. In che società viviamo?

Senza le risse intestine nella Lega, che hanno attirato le attenzioni della magistratura, forse non avremmo saputo niente di questo Risiko fatto di consiglieri comunali schierati come marionette investendo denaro su questo o su quella. Chi muove i fili è sempre chi ha a sua disposizione maggiori capitali, ossia chi possiede e gestisce i mezzi di produzione. In un territorio che la deindustrializzazione ha sprofondato nelle forme di capitalismo più parassitarie, il capitale che conta è spesso quello dei vampiri della rendita immobiliare e delle logistiche o degli speculatori del traffico di rifiuti, del gioco d’azzardo, della movimentazione terra. Sono settori sistematicamente contigui alle mafie e alla politica, perché funzionano sulla base di regolamentazioni lacunose e omessi controlli, appalti e subappalti, concessioni e “partnership pubblico-privato”, prestiti occulti e scambi di favori. L’industria tradizionale non è certo molto meglio, ma qua si è perso ogni aggancio al progresso materiale, e da freno relativo allo sviluppo delle forze produttive il grande capitale nel nostro territorio è sempre più un puro e semplice parassita.

Lo Stato è per noi, in ultima analisi, il comitato d’affari della borghesia. Alle lamentazioni dei liberal-progressisti piddini per il discredito che cade sulle istituzioni, ai distinguo di chi dice che sono solo poche mele marce lo sbirro corrotto e maschilista o l’ispettore che avverte su WhatsApp i padroni dei controlli sulla sicurezza in cantiere, noi rispondiamo: queste vicende in realtà rivelano la natura essenziale dello Stato e della sua simbiosi con la classe dominante. E stiamo attenti a un eccesso di fiducia nel potere giudiziario: è pur sempre parte di questo apparato statale e di questo sistema, che ha già mostrato di non sapersi autoriformare in mille occasioni qui da noi, incluso il recente caso Fibronit per non parlare del processo Rocchelli. Il capitalismo reale è questa roba qui: prendere o lasciare.

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