Il problema della mobilità non è la mobilità.
Con la riapertura delle scuole il problema della mobilità è tornato alla ribalta sui mezzi di informazione. Lunghe trasmissioni televisive e radiofoniche dibattono dell’opportunità di utilizzare i mezzi privati a idrocarburi o orientarsi verso il meno inquinante trasporto pubblico. Pagine Facebook in cui si decantano i vantaggi delle biciclette e dei mezzi di mobilità attiva o muscolare nascono come funghi in un bosco dopo una notte di pioggia.
I numeri dei contagi, anche normalizzati su una media di più giorni, ci parlano di una situazione di “latenza” con focolai isolati ma non irrilevanti. Se con il liberi tutti di agosto, volto a sostenere la stagione turistica, abbiamo assistito ad un rialzo dei contagi, in autunno l’abbassamento delle temperature, la diminuzione delle ore giornaliere di luce solare e l’abbandono sempre più probabile delle misure precauzionali potrebbero far precipitare la situazione sanitaria di nuovo in una situazione critica.
Tutte le contraddizioni che nei mesi scorsi si erano accumulate sono pronte ad esplodere in maniera dirompente nel prossimo futuro. Le parole, le opere e le omissioni sull’organizzazione del sistema scolastico e del sistema produttivo italiano, al di là del grande vociare fatto, sembrano prefigurare un ritorno al lavoro e allo studio in presenza in modo massiccio. I settori del pubblico impiego stanno spingendo perché sempre più lavoratrici e lavoratori tornino nei loro uffici e si uniscano a quei lavoratori e a quelle lavoratrici che non hanno mai potuto usufruire degli strumenti del lavoro da casa. Come dimenticare il sindaco di Milano Sala che a fine giugno diceva “È ora di tornare al lavoro!”, come se durante il lockdown non si fosse sgobbato come o più di prima. Nelle università la paura di perdere nuove matricole sta portando rettori e direttori generali a richiamare in sede tutto il personale tecnico, amministrativo e bibliotecario per dare una falsa sensazione di efficienza, manovrati dall’eminenza grigia: lo sfuggente ministro Manfredi.
La nuova Confindustria a guida Bonomi non si tira indietro e chiede nuovi contratti per sfruttare meglio lavoratori e lavoratrici per recuperare i profitti persi: se già nel periodo più acuto (fino a questo momento) della crisi sanitaria la salute dei dipendenti non era al primo posto, possiamo immaginare l’attenzione che questo argomento avrà prossimamente.
La prospettiva più probabile è che si farà di tutto per evitare un secondo blocco delle attività produttive, anche approfittando subdolamente dell’esasperazione naturale della popolazione, agitando la speranza di un vaccino sempre quasi a portata di mano.
Date queste premesse è inevitabile che si prefiguri un autunno catastrofico per la mobilità. Un numero elevato di persone, simile ai livelli pre-Covid, si muoverà per far fronte alle necessità della vita quotidiana: il lavoro, l’istruzione, la famiglia e lo svago.
Per una città come Pavia, città di pendolari con un sindaco fantasma, che sarà prevedibilmente investita da un “traffico imprevedibile”, la situazione sarà ancora più drammatica e già si vede la corsa al capro espiatorio. Si rincuorino i runner, questa volta toccherà agli automobilisti!
Come è spesso purtroppo accaduto fino a questo punto della pandemia globale, lavoratrici e lavoratori sono stati totalmente abbandonati dal sistema politico borghese e si sono dovuti arrangiare. Chi ha da sempre usato il mezzo pubblico per spostarsi, sia esso l’autobus, il pullman o il treno sa bene che il limite imposto dalle autorità dell’80% sulla capienza massima è solo una barzelletta. Nessuno spiega come questo limite dovrà essere calcolato o fatto rispettare, su un sistema già al collasso in tempi normali. Nelle ore di punta le vetture della linea 3 del trasporto urbano in partenza da Montebolone sono già traboccanti di persone dopo sole cinque o sei fermate più o meno all’altezza di San Pietro in Verzolo. Chi controllerà il mantenimento delle distanze? Chi deciderà chi sale e chi no? Faremo per colore della pelle, come proposto da alcuni consiglieri leghisti a Bergamo? “Basterà aspettare il mezzo successivo!”: che passerà dopo quanto? Sarà vuoto? Riuscirò a prendere il treno per andare a lavorare a Milano?
Per come è strutturato il trasporto locale nella nostra città (a causa della struttura stessa della città) tutti i mezzi si riempiono in continuazione per metà del tragitto per poi svuotarsi in prossimità del centro o della stazione, in alcuni casi per riempirsi di nuovo in direzione dell’ospedale o dei poli universitari del Cravino e della Nave.
Lo stesso avviene con i treni. Il passante S13 per Milano già alla prima fermata, quella di Certosa di Pavia, ha completato i posti a sedere a regime normale, figuriamoci quale potrà essere la situazione con una capienza significativamente ridotta!
La risposta che molti lavoratori e lavoratrici troveranno per far fronte alla necessità di spostarsi e di tutelare la propria salute sarà il ricorso al mezzo privato. Il settore automobilistico è stato per decenni il traino della produzione industriale in Italia e intorno all’automobile o al desiderio di questa si sono costruite le mentalità di generazioni e generazioni di italiani: del resto in un paese di 60 milioni di abitanti con un parco macchine di 37 milioni di autovetture questa è la soluzione più ovvia. Se a questo si aggiunge l’inaffidabilità del sistema del trasporto pubblico dotato di mezzi inadeguati, sovraffollati e costantemente in ritardo in periodi normali è chiaro che in un periodo di pandemia chiunque avrà un’alternativa sceglierà quella. L’effetto sarà l’intasamento delle già pessime strade della nostra provincia e l’allungamento dei tempi di percorrenza e dell’inquinamento atmosferico.
Per una città come Pavia, nel lungo periodo, la prospettiva è quella di un sistema in cui la mobilità pubblica sarà sempre più residuale e di scarsa qualità. Sarà vittima del solito circolo vizioso in cui i pochi servizi offerti scoraggeranno l’uso che porterà ad una ulteriore riduzione dei servizi perché insostenibili economicamente. Avete provato a prendere un bus alla domenica? O dopo le 20? Ecco…
L’accento sarà quindi inevitabilmente posto sulla mobilità attraverso il mezzo privato in cui l’utente “virtuoso” utilizzerà il mezzo elettrico o ibrido o ultimo modello Euro 6, 7, 8 mentre l’utente “cattivo” utilizzerà il vecchio mezzo a idrocarburi e gravemente inquinante.
La bicicletta può senza dubbio risolvere una parte dei problemi. Se adeguatamente supportato con investimenti urbanistici significativi, coerenti e pianificati come segnaletica verticale e orizzontale, illuminazione e manto stradale adeguati, piste ciclabili continuative e vere e soprattutto scelte politiche programmatiche forti, la bicicletta può disincentivare l’utilizzo dell’auto per gli spostamenti urbani. Purtroppo però in una città che gravita fortemente su Milano, una soluzione incentrata sulla bicicletta non è sufficiente, se non integrata con altri mezzi di trasporto all’altezza della situazione.
Nostro compito è quello di opporci al consolidamento di questo sistema classista e individualista che si sta profilando con sempre maggiore chiarezza e che scarica sul singolo i problemi e le soluzioni. E la crisi sanitaria non ha fatto che accelerare questo processo anche nel campo della mobilità.
A suo tempo, per far fronte all’emergenza l’associazione culturale Il Sellino Spiritato aveva presentato una petizione al sindaco Fracassi con una piattaforma in gran parte condivisibile (resta però il nostro rifiuto del lavoro volontario). Ora a questa deve sicuramente alla quale deve essere aggiunta una maggiore attenzione e misure specifiche per il pendolarismo verso Pavia dai centri limitrofi e su Milano.
Per fare questo serve soprattutto una forte volontà politica di investire in infrastrutture a basso impatto ambientale e nell’utilizzo di nuove tecnologie applicate alla mobilità. Non sono certo i mezzi tecnologici a mancare ma la volontà di pianificare la mobilità per il benessere della massa dei lavoratori e delle lavoratrici, delle studentesse e degli studenti. La giunta Fracassi ha invece ben altri referenti e si trincera nell’immobilità lottando a slogan contro una presunta malamovida indicata come unico male di Pavia.
Le ultime parole d’ordine che si stanno diffondendo, in tutto l’arco parlamentare, sono “flessibilità degli orari di lavoro” e “lavoro agile” per evitare di creare assembramenti e “abbassare la curva” dei picchi di mobilità nelle ore di punta. Queste soluzioni sono puri palliativi, fumo negli occhi per la classe lavoratrice.
Ormai ben sappiamo che il lavoro fatto in questi lunghi mesi ha ben poco di agile. Ha ridotto molte persone all’isolamento ed è stato un utile strumento per atomizzare lavoratori e lavoratrici. I padroni più furbi ne hanno capito le potenzialità sull’incremento della produttività e del controllo. I più arretrati stanno spingendo per un rientro forzato che aggrava solo il sistema della mobilità.
La flessibilità oraria è il solito strumento per mantenere il profitto. Per evitare che tutto il sistema crolli, lavoratori e lavoratrici dovranno ancora una volta sostenere il peso della crisi diventando ancora più flessibili, distruggendo routine consolidate e anche spazi familiari. Con l’orario di lavoro spostato in avanti, il lavoro viene ad occupare ancora di più la parte centrale della giornata e tutti i vantaggi di un’entrata posticipata verranno vanificati da tempi di spostamento più lunghi. Se inizio il lavoro alle 10:30 quando finirò? Quando tornerò a casa? Avrò tempo per gli affetti e il tempo libero?
Nel campo del lavoro l’unica azione davvero utile è la riduzione significativa dell’orario di lavoro a parità di salario, perché per agire davvero sulla mobilità bisogna agire sui motivi per cui ci si sposta e si cerca di farlo nel modo più rapido possibile. Ma la crisi sanitaria e la crisi economica stanno mettendo in luce con sempre maggiore chiarezza i limiti del sistema capitalistico che si riflettono in ogni aspetto della nostra vita. Dalla gestione della sanità pubblica alla mobilità.
La crisi ha messo in luce però anche lo sforzo immane del sistema capitalistico di mantenersi in vita ad ogni costo e continuare con lo status quo fatto di sfruttamento, di soluzioni a breve termine, di caos. Solo un cambiamento rivoluzionario in senso socialista della società permetterà davvero un cambiamento e un miglioramento delle condizioni di vita di tutte e di tutti. Un sistema in cui la mobilità possa avvenire con i ritmi lenti propri del genere umano liberato dalla schiavitù del profitto.