Sull’ossessione del sindaco di Pavia, Fabrizio Fracassi, contro la movida abbiamo già scritto e si è già pronunciata anche la Rete Antifascista, ma giova comunque ricordare che proibire ai giovani di sedersi sui gradini del Duomo per incoraggiarli a consumare all’interno dei locali risponde forse agli interessi a breve termine di qualche proprietario di cocktail bar, ma non ha alcuna logica sanitaria, anzi significa aumentare i contagi e favorire maggiori assembramenti (se riduci la superficie utilizzabile da chi esce la sera, concentri la popolazione in spazi più piccoli).
Con la stessa logica, stando a quanto denunciato dal gruppo dei Baristi, Osti e Ristoratori Uniti per Pavia, il Comune ha insistito perché i locali del centro pagassero di tasca loro degli “steward” che facessero in buona sostanza da buttadentro privati, sostituendosi, non sappiamo quanto legittimamente, alle forze dell’ordine statali nella repressione di assembramenti veri o presunti fuori dai recinti del consumo a pagamento nei locali. Aver assecondato questa narrazione antimovida da parte dei gestori e proprietari di molti locali del centro è stato piuttosto miope, perché come vedono oggi è una narrazione che gli si è ritorta contro, e dopo aver partecipato alla criminalizzazione della movida gratuita all’aperto (più sicura dal punto di vista epidemico) diventa difficile spiegare che la movida a pagamento indoor sia meglio.
Fracassi sta quindi cercando di “lisciare” i commercianti, una tradizionale base elettorale del centrodestra a Pavia. Questo non significa però che lui voglia appoggiare le proteste di questi giorni, dove si sono mescolate a rivendicazioni di apertura incondizionata, che reputiamo irresponsabili e corporative oltre che facilmente manipolabili dall’estrema destra negazionista, a molto più sensate richieste di sussidi, reddito, provvedimenti lungimiranti sul piano sociale, soddisfatte ancora troppo parzialmente dal “decreto ristori”. L’unica parte di queste proteste che interessa a Fracassi è proprio quella su cui noi marxisti abbiamo più di una perplessità: la richiesta di apertura totale. Non una parola sulla richiesta di sussidi alle attività e ai lavoratori colpiti, che invece è la parte su cui ci sarebbero più punti di contatto con gli interessi che difendiamo, quelli della classe lavoratrice e della giustizia sociale.
Fracassi ha addirittura invocato la repressione contro le proteste, a suo dire manovrate da estremisti politici e «violenti di professione» non meglio definiti:
Lo spettro dei gilet gialli terrorizza anche il leghista Fracassi, nonostante in Francia si siano mossi contro Macron che dovrebbe stare dall’altra parte, ma sappiamo bene che esiste un metapartito dell’ordine capitalista che include sia il centrodestra sia il centrosinistra in tutti i Paesi europei.
Si è fatto tanto parlare delle “3 T” (testing, tracing, tracking) ma concretamente è proprio su questo terreno che l’Italia è rimasta più indietro, senza che la Lombardia si distinguesse in meglio, anzi. Secondo il Sole 24 ore in tutta Italia ci sono 9.241 “tracciatori”. Tre mesi fa erano 8.966. Secondo il consenso della maggioranza degli esperti virologi ne servono almeno duemila solo per la Lombardia.
Spesso viene incaricato di tracciare i contagi un medico che ha altre responsabilità. Nell’area metropolitana di Milano ci sono solo 25 medici delle USCA, le unità mediche sul territorio che dovrebbero seguire i positivi nelle loro abitazioni per non intasare gli ospedali. A maggio se ne prevedevano 130.
Sia a marzo/aprile che particolarmente ora il sistema capitalista italiano, governo e classe dominante, inclusa l’opposizione di destra, si è dimostrato incapace di avere una visione strategica per battere il virus. Che l’ottava potenza industriale del mondo, dove i ricchi hanno un patrimonio accumulato che arriva a 8 volte il PIL annuo, non possa permettersi di impostare una chiusura delle attività per il tempo necessario sarebbe una barzelletta, se non fosse una tragica realtà.
Ci sembra comprensibile la rabbia di chi è stato ingannato dalle chiacchiere irresponsabili sul virus sotto controllo, sulla seconda ondata che non ci sarebbe stata o sarebbe stata blanda, sui costosi provvedimenti necessari per continuare a lavorare in sicurezza.
Proprio in questi giorni si stanno organizzando in molte città d’Italia manifestazioni promosse da associazioni di esercenti e ristoratori per portare all’attenzione del governo il loro dissenso verso le misure recentemente assunte.
Un’azione simile si dovrebbe tenere anche a Pavia per sabato prossimo e non nascondiamo che la proposta ci lascia piuttosto freddi. Luca Filippi, il figlio di Ettore Filippi, l’uno e l’altro nomi ben noti e molto “discussi” della politica locale di centrodestra, ha presentato l’iniziativa come una «camminata pacifica» in un imbarazzante messaggio che inizia con «Grazie sindaco».
Abbiamo sentito troppo spesso storie di sfruttamento di lavoratori e lavoratrici nel mondo della ristorazione pavese per associare la nostra voce a quella di chi vorrebbe abbassare tutte le precauzioni sanitarie in nome del profitto. Per esempio, una recente iniziativa che si è tenuta a Radio Aut con la presenza anche dell’avvocato Villari di SCR Milano ha dato voce alle storie davvero preoccupanti di diversi giovani supersfruttati, pagati in nero e maltrattati in quel Far West che è il mercato del lavoro nei bar, nei pub e nei ristoranti del centro storico.
Al piccolo esercente che chiede solidarietà non intendiamo certo negarla, ma saremmo ipocriti se fingessimo di non ricordare quando l’Ascom (Confcommercio), una lobby corporativa che ha un ruolo fortemente negativo nella politica cittadina, si è associata ai comitati antimovida nel tentativo di costringere i giovani e le giovani di Pavia a consumare alcolici e altro a prezzi esorbitanti chiusi dentro locali sovraffollati.
Tra le rivendicazioni che come Sinistra Classe Rivoluzione abbiamo avanzato a livello nazionale c’è convintamente anche quella di risarcire le piccole attività danneggiate dalla pandemia e dalle misure di contenimento. Questa ci sembra una via più ragionevole che impuntarsi sul rifiuto di chiudere, che se può avere più o meno senso in questa o quella fase delle varie ondate epidemiche, è destinata a diventare una rivendicazione surreale quando, com’è probabile, si arriverà a una situazione tale da dover chiedere di chiudere buona parte dell’economia.
Tra l’altro molte piccole attività hanno subito perdite consistenti anche in questi mesi di riapertura: il problema non sono solo i lockdown imposti dall’alto, ma anche gli autoconfinamenti e una ovvia minore propensione a uscire e consumare durante una pandemia letale combinata con una profonda crisi economica. Quei politici di destra e non solo (Beppe Sala non dice cose molto diverse) che si limitano ad agitare la bandiera del no al lockdown parlano a chi sta meglio tra gli esercenti, a chi sta riuscendo in qualche modo a fare affari ugualmente, ma non stanno dando una risposta utile a quel ceto medio-basso che è veramente in rovina.
La classe non è acqua e conta, sempre. Non a caso, una manifestazione di questi giorni che si connota come più working-class, quella dei lavoratori dello spettacolo (venerdì 30 ottobre, ore 10, piazza Vittoria, in coincidenza di una mobilitazione nazionale promossa dai sindacati confederali di categoria), invece di chiedere riaperture, punta giustamente a difendere il reddito dei lavoratori di un settore costretto nuovamente alla paralisi. Parteciperemo a questa giusta protesta.
Dobbiamo uscire dal ricatto che pone in contraddizione il reddito con la salute. Dobbiamo riprendere lo spirito delle Giornate di Marzo in cui la classe lavoratrice, le operaie e gli operai ma non solo, si è mossa in autonomia per bloccare le produzioni non necessarie e tutelare la salute di tutti. L’apertura generalizzata e spasmodica delle attività ha esposto ancora una volta i più deboli ai rischi del contagio. L’assenza di adeguati e tempestivi strumenti di tutela ha colpito tutte quelle persone che hanno dato fondo a tutte le loro riserve economiche e che magari si vedono negata la possibilità di richiedere sussidi perché i padroni si sono sempre rifiutati di metterle in regola. Anche chi ha avuto diritto a dei sussidi li ha ricevuti in ritardo, talvolta clamoroso, e non sono rari i casi di lavoratori in cassa integrazione costretti illegalmente a recarsi al lavoro ugualmente.
I settori di lavoratori più colpiti dal DPCM stanno iniziando a muoversi, a volte al seguito delle parole d’ordine confusionarie del ceto medio, altre volte in forma più autonoma e avanzando rivendicazioni corrette, come si è visto in alcune piazze del Paese.
Crediamo quindi che si debbano organizzare in sicurezza, con distanziamento rigoroso e mascherine, manifestazioni su piattaforme progressiste che proteggano in primo luogo la salute e lo facciano anche attraverso un sostegno concreto al reddito di lavoratori e lavoratrici anche informali. Le mancate scelte della politica non possono essere pagate dalla classe lavoratrice né in termini di reddito né di salute. C’è bisogno di una visione radicalmente di sinistra per uscire da questa crisi che scardini la logica del profitto e tuteli veramente le persone.
Ci appelliamo alle altre organizzazioni di sinistra e che hanno a cuore lavoratori e studenti affinché si pensi da subito a dare voce anche nella nostra città a queste esigenze vitali.
Il virus sta mettendo in luce la profonda crisi del capitalismo, il modo in cui si produce la ricchezza e il modo in cui la si accumula. Non possiamo trovare una via di uscita nello stesso modo di pensare che ci ha portato a questo disastroso stato di cose. Anni di tagli alla sanità, di disinvestimento nella scuola pubblica, di smantellamento di servizi accessibili a tutti in nome della produttività e della redditività degli investimenti ci hanno lasciati in braghe di tela davanti al dramma del virus.
Ma non siamo tutti sulla stessa barca! Non siamo tutti nella stessa situazione. I grandi patrimoni sono lievitati anche durante la pandemia. I ricchi in Italia, l’ottava potenza industriale del mondo, hanno un patrimonio accumulato che arriva a 8 volte il PIL annuo del paese.
Ecco dove sono le risorse. Ecco perché dobbiamo abbattere questo sistema iniquo.
Non sono le solite chiacchiere. Ne va della nostra vita.